Mobilità, la stazione di servizio può diventare una comunità energetica?

Quotidiano Energia – La normativa, le opportunità, le sperimentazioni: uno sguardo sul futuro al convegno promosso da Quotidiano Energia a Fuels Mobility

di Romina Maurizi 

La diffusione dei punti di ricarica elettrica ad alta potenza passerà per gli attuali impianti di distribuzione carburanti che dovranno ripensarsi, aumentare l’offerta di servizi alla clientela per diventare vere e proprie stazioni per il servizio alla mobilità. Questo significa che aumenteranno anche i consumi elettrici degli impianti che si sommeranno all’elettricità necessaria per le vetture che verranno a ricaricarsi nell’area di servizio. Dove prendere questa elettricità? Si può comprare dalla rete ma una risposta, vantaggiosa in termini di costi anche solo per il mancato acquisto, può arrivare dalla trasformazione della stazione di servizio in un soggetto autoproduttore. A sostenerlo Romano Giglioli, professore ordinario di Gestione dei sistemi elettrici dell’Università di Pisa, che ha approfondito il tema mercoledì 6 ottobre a Bologna al convegno promosso da Quotidiano Energia nell’ambito della manifestazione Fuels Mobility.

“Alcune stazioni hanno già installato pannelli FV su pensiline e parcheggi, si può aggiungere in alcuni casi il mini-eolico” tuttavia, ha precisato Giglioli, sono un contributo non risolutivo alle esigenze delle stazioni di servizio con la diffusione della mobilità elettrica. “Per diventare autoproduttori di elettricità occorre installare gruppi elettrogeni che possono essere alimentati a biometano. Altro elemento importante”, ha proseguito il professore, “è quello di prevedere anche sistemi di accumulo” per gestire meglio i flussi di energia alla luce di un diagramma di carico con grande variabilità.
 
Ulteriori opportunità di business, ha dichiarato ancora Giglioli, si potrebbero aprire in futuro anche attraverso la vendita di servizi alla rete elettrica. “E’ un aspetto interessante che stiamo analizzando. La stazione di servizio può vedere la presenza di più operatori – ad esempio bar, albergo, autolavaggio – che dal punto di vista energetico possono essere gestiti da un solo soggetto. La domanda allora da farsi – ha concluso il professore – è: la stazione di servizio può diventare una comunità energetica con i vantaggi che ne conseguono? Concettualmente sì, c’è però qualche aspetto giuridico da affrontare”.
 
Il quesito è stato esaminato al workshop da Gabriella De Maio, professoressa di diritto dell’Energia all’Università di Napoli. Se pensiamo alla stazione carburanti di oggi e alle comunità energetiche rinnovabili previste dalla direttiva Red II “la compatibilità è piuttosto bassa”, ha premesso De Maio. Diverso il discorso se prevediamo di sviluppare l’impianto come “un hub di servizi di vicinanza per il territorio”. In quest’ultimo caso, ha sottolineato la professoressa che è anche coordinatrice dell’Italian Forum of Energy Communities, “valorizziamo infatti due aspetti fondamentali della comunità energetica: la centralità dell’utenza e il rapporto con il territorio. Entrambi elementi di congiunzione con il modello di energia condivisa”.
 
Il legislatore comunitario, ha ricordato De Maio, all’articolo 22 della direttiva Red II definisce la Cer (comunità energetica rinnovabile) come un soggetto giuridico al cui interno possono esserci come elementi costitutivi non solo i cittadini ma anche piccole e medie imprese e autorità locali. L’obiettivo delle Cer, ha proseguito, è quello di fornire benefici ambientali, economici o sociali a livello di comunità, ai suoi azionisti o membri o alle aree locali in cui opera piuttosto che profitti finanziari. In quest’ottica, ha osservato la professoressa, “se noi immaginiamo una stazione di servizio nel medio-lungo termine possiamo dire che sicuramente può realizzare benefici ambientali perché può produrre energia da Fer; benefici economici perché l’elettricità generata nelle Cer è remunerata tramite una tariffa incentivante.
 
Il punto ancora in discussione è invece il seguente: la stazione di servizio come soggetto autoproduttore può dare benefici sociali? Se l’area va ad intercettare le nuove esigenze dell’utenza, prevedendo al suo interno non solo rifornimento di carburanti ma ad esempio minimarket, ritiro pacchi, alberghi, bar, colonnine di ricarica per veicoli elettrici…”, per De Maio la risposta allora è positiva poiché “può valorizzare il territorio anche dal punto di vista occupazionale, intercettando il considerando 65 della direttiva Ue laddove si sottolinea che la produzione decentrata da Fer può migliorare lo sviluppo e la coesione delle comunità grazie alla creazione di posti di lavoro a livello locale”. Un aspetto, ha rimarcato la professoressa, ripreso anche nello schema di D.Lgs di recepimento della Red II, attualmente all’esame del Parlamento: “La Cer deve avere uno scopo mutualistico a favore dei propri membri e altruistico nei confronti del territorio, quindi l’obiettivo principale non deve essere il perseguimento del lucro soggettivo, cioè la distribuzione dell’utile tra i membri, ma ciò non toglie che non possa prefiggersi una limitata, accessoria finalità lucrativa che, ad esempio, può consistere nella remunerazione dei fattori di produzione”. Tutto questo, per De Maio, implica un cambio di mentalità nell’approccio alle aree di rifornimento che vanno ripensate, “è un punto di rottura rispetto al passato, richiede coraggio ma offre opportunità legate al business dell’energia contribuendo a realizzare politiche di decarbonizzazione e riqualificazione del territorio”.
 
Non solo teoria, al convegno organizzato da Quotidiano Energia a Bologna, è stato portato anche il caso concreto di un operatore della mobilità che sta sperimentando la possibilità di diventare autoproduttore. A intervenire in particolare è stato Marco Piccini, ad della Piccini Paolo Spa, impresa della rete carburanti attiva sul metano auto da 50 anni. “Nelle nostre stazioni di servizio a volte partiamo già da 200-250 kW di potenza impegnata, con consumi discontinui legati all’utilizzo dei compressori”. Di qui la scelta di puntare su un accumulo con cui recuperare l’energia prodotta dalle pensiline FV, integrata anche con mini-eolico. “Abbiamo sposato questo progetto innovativo in via di realizzazione, a inizio anno prossimo avremo il disegno completo per diventare una power station”, ha affermato Piccini.

I lavori del convegno, introdotti Roberto Degl’Innocenti, consulente del settore petrolifero e collaboratore di Quotidiano Energia, sono stati conclusi dall’intervento di Giuseppe Sperduto, presidente della Faib. “Come gestori abbiamo poco da decidere su investimenti e strutture ma vediamo di buon occhio, prima come cittadini poi come categoria, le opportunità che ci porterà la transizione energetica”, ha esordito Sperduto, evidenziando i limiti della rete distributiva a fronte della necessità di accelerare già da oggi la costruzione della stazione di servizio di domani. “Vogliamo continuare ad essere protagonisti della mobilità al servizio delle esigenze dell’automobilista e del mezzo che conduce e per questo serviranno gestori sempre più competenti e in grado di fornire servizi sempre più specializzati”. Prima di tutto, ha concluso il presidente Faib, bisogna però “rispettare le regole e risolvere i grossi problemi economici” che affliggono la categoria.

Per gentile concessione di Quotidiano Energia 

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roberto guerra
roberto guerra
2 anni fa

Quanti danni che fa la droga……

pippo
pippo
2 anni fa

NO per il semplice fatto che il99,9 % non è attrezzata per diventarlo
Per fare quello che sti professoroni pensano ci vogliono aree di proporzioni non certo equivalenti a quelle di oggi ,le quali si possono fare solo fuori e lontano dai centri citta ,Ci vogliono centinaia di pannelli ,dove li mettete ? sul Duomo ,o in piazza di Siena ? L impianto di Biogas dove lo mettete in mezzo alle case, sapete almeno di cosa parlate professori del piffero
In quanto a FAIB ,non fareste meglio interessarvi di più ai problemi dei gestori che partecipare a ste cazzate?

Alex
Alex
2 anni fa

Sono progetti lodevoli, degne del telefilm “LA CASA NELLA PRATERIA” ma non rispecchia gli obiettivi delle compagnie petrolifere e dei loro manager.
Le politiche degli ultimi 20 anni sono esattamente l’opposto di tutto ciò che è stato scritto in questo articolo.
Basta osservare tutto ciò che lo stato ha messo a disposizione delle aziende x migliorare le proprie classi energetiche e l’indifferenza delle case petrolifere nello sfruttare le opportunità che sarebbero state pure delle ottime opportunità di interessi economico per i gestori che sicuramente avrebbero potuto sfruttare x essere concorrenziali.
Mi dispiace contraddire, ma visto che gli eroi sono sempre gli altri e gli stronzi i gestori, prima che avviano i progetti x poi andare sugli impianti a mortificare i gestori perché non vendono vorrei far notare che i supermercati, i centri commerciali, i discount in Italia hanno orari molto più estesi di dove hanno preso spunto. Dove esiste questa realtà, il Sabato pomeriggio, la Domenica il pomeriggio dopo le 18:00 i negozi addetti alla vendita di alimenti sono chiusi quindi gli unici dove poter acquistare in extremis sono le stazioni di servizio.
Quindi in Italia x queste ragioni non avrebbe lo stesso successo.
Per avere dei progetti vincenti non bisogna copiare il risultato ma prima le strategie, basta osservare i grafici delle vendite di tutte le attività collaterali attualmente collegate alle stazioni di servizio. Erano dei punti di forza del gestore fino a quando i nullafacenti delle compagnie non hanno attuato le loro strategie di pensiero. UN FALIMENTO TOTALE fatto di promozioni, offerte, affitti fuori mercato, roialty ino ad arrivare a creare un portafoglio di insoluti.
Per realizzare progetti efficienti bisogna ridurre gli sprechi, programmare degli obiettivi interessati come nell’articolo, dare un ruolo hai soggetti utili ed eliminare i rami secchi (quei soggetti inutili pronti ad infamare il prossimo per conquistare uno spazio ed un ruolo inesistente).