E' sicuramente il periodo più nero per chi estrae e commercializza greggio non solo perchè la quotazione della materia prima continua a crollare ma addirittura per alcuni tipi di greggio la sua quotazione arriva al punto da valere meno di zero ovvero di costringere le società petrolifere a pagare pur di vendere.
Accade negli Usa e precisamente nel North Dakota, stato il cui un’azienda specializzata nella raffinazione del petrolio ha chiesto 50 centesimi al barile come compenso per la lavorazione di un prodotto il cui guadagno non vale il lavoro fatto.
In altre parole il petrolio è considerato materiale di scarto, un rifiuto per cui lo smaltimento è oggetto di spesa inutile. In realtà il ragionamento non è del tutto fuorviante dal momento che, come è noto, i vari tipi di petrolio differiscono tra loro per composizione e densità; ebbene la lavorazione di alcune tipologie, tra cui quelle del North Dakota, richiedono un maggiore impegno per la purificazione del prodotto finale, processo particolarmente costoso e che fa diminuire il margine di guadagno rendendolo quasi nullo.
Un paradosso che ha alle spalle non solo un’offerta che supera la domanda (non oggi e non di poco) ma addirittura nessuna prospettiva di rialzo dal momento che con il ritorno dell’Iran, e per giunta con un mese di anticipo, la quantità di greggio sul mercato è destinata ad aumentare. A confermarlo è anche l’Aie, l’Agenzia Internazionale per l’Energia che nel suo primo report del 2016 taglia le prospettive per la domanda dei prossimi mesi. In altre parole il 2016 non vedrà quella stabilizzazione dei prezzi che era stata ventilata dall’Opec nei giorni scorsi quasi a calmierare le tensioni che si stanno creando nel settore degli energetici. Stando infatti alle previsioni dell’Organizzazione dei paesi produttori di petrolio si pensa che il prezzi bassi del greggio costringeranno molti produttori al di fuori del cartello Opec ad abbandonare o ridurre drasticamente la propria produzione per circa 660mila barili al giorno
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