La contromossa dell’automotive “La Ue apra alla benzina sintetica”

In una lettera a Bruxelles gli industriali europei chiedono di sperimentare carburanti alternativi, bio o basati sull’idrogeno, ecco come funzionano

lI costo attuale? Alto, molto alto. Per produrne un solo litro si spenderebbero più di 3 euro. E se dovesse arrivare alla pompa di benzina il prezzo salirebbe tra i 4 e i 5 euro. Non solo. Una delle materie prime necessaria per creare la benzina sintetica, che per alcuni rappresenta una possibilità ulteriore oltre all’elettrico per la mobilità dopo il 2035, costa da 4 a 7 euro al chilo. Si tratta dell’idrogeno verde, quello che si ottiene sfruttando le energie rinnovabili per l’elettrolisi dell’acqua, decomponendola in idrogeno e ossigeno, attraverso il passaggio di corrente elettrica. “Attenzione però, già nel 2030, e ancor più nel 2035, il prezzo alla produzione sarà molto più basso se si continuerà con ricerca e sviluppo” dice chi questi dati li snocciola senza preoccupazione, ovvero Franco Del Manso, ufficio Rapporti internazionali ambientali e tecnici di Unem, l’Unione energie per la mobilità, che ha sostituito la vecchia associazione dei petrolieri. E il carburante sintetico quanto si potrebbe pagare in futuro? “Oggi il costo è elevato e strettamente correlato al costo della generazione elettrica da fonti rinnovabili, che può raggiungere un terzo del costo totale, e si aggira intorno ai 2-3 euro al litro. La realizzazione delle economie di scala lo porterebbero sotto i 2 euro al 2030 e attorno a 1 euro al 2050”.

I nuovi tipi di alimentazione
Del Manso non è un talebano degli idrocarburi: la mobilità elettrica avrà uno spazio importante nel futuro, ma non potrà essere l’unica soluzione: “Bisogna studiare altri tipi di alimentazione, il carburante sintetico oppure i biocarburanti”. Basta un dato per capire: oggi in Europa per muoversi si consumano 350 milioni di tonnellate di carburante. Non solo in auto, ma con aerei, treni (non elettrici), navi. Una massa che non potrà essere sostituita nel 2035 di botto. E soprattutto, “anche se l’elettrico prenderà piede, rimarranno in circolazione un miliardo di auto nel mondo e 300 milioni in Europa. Come si alimenteranno? Vogliamo diminuire le emissioni di CO2 anche per chi non cambierà auto? Il motore tradizionale deve rimanere, altrimenti le società non avranno economie di scala nello sviluppo di soluzioni complementari all’elettrico”.

Uno dei sistemi è il processo Fischer-Tropsch che permette la ricombinazione dell’idrogeno e della CO2 in catene di idrocarburi creando prodotti dalle caratteristiche simili a quelli generati dalla raffinazione del petrolio. Oltre all’idrogeno (verde) serve la CO2 che si può prendere da due sorgenti. La prima è l’atmosfera, grazie a tecniche che permettono di estrarla, per poi reimmetterla quando verrà usato il carburante. Il risultato finale, così, è pari a zero. La seconda è il recupero da raffinerie, acciaierie, impianti industriali, dove la CO2 non immessa nell’aria va in un impianto di Fischer-Tropsch e si produce il carburante. Alla fine quello che uscirà dallo scappamento sarà già compensato dal carbonio non immesso in atmosfera dalle industrie. “È un bilanciamento di materia, partendo da ciò che non si emette o si risparmia”, dice Del Manso. E aggiunge: “La regolamentazione calcola solo l’emissione misurato allo scarico, mentre sarebbe più corretto considerare l’intero ciclo di vita. Quanto carbonio viene rilasciato e assorbito in tutte le fasi di produzione e consumo. Solo così si sfrutterebbero i vantaggi del low carbon fuel”. Esistono i biocarburanti che provengono da colture come il biometano, che può arrivare ad un 100% di abbattimento, e combustibili rinnovabili che possono essere prodotti da olio da cucina esausto, arrivando a un fuel con abbattimenti dall’80% al 95% di CO2.

Dove si produce il biocarburante
“Tutto viene compensato, non ci sono nuove emissioni”, spiega. Se si dovesse poi sviluppare la Ccs, la cattura e lo stoccaggio della CO2, si arriverebbe ad un processo negativo. A Ravenna Eni vuole realizzare un centro di cattura e stoccaggio di anidride carbonica sfruttando i giacimenti offshore di metano esauriti nei fondali marini dell’Adriatico. Una capacità di accumulo fino a 300-500 milioni di tonnellate, tra i più grandi al mondo. “Il problema non è avere CO2 a zero al tubo di scappamento dell’auto, ma considerare tutta la catena. E come si produce il carburante, compresa l’elettricità che alimenta la batteria”, sottolinea Del Manso. Negli impianti Eni di Gela e Marghera si produce già del biocarburante, Hvo, che si usa, al 15%, nel “Diesel+”. E marchi come Porsche e Audi stanno investendo in sperimentazioni di fuel sintetici.

Unem è una delle 72 sigle europee del settore auto, trasporti e petrolifero che ha firmato la lettera inviata a Bruxelles dalla Clepa, l’associazione europea della componentistica auto. È iniziato il confronto tra Commissione, Parlamento e Consiglio europeo per arrivare a un testo definitivo rispetto alla scadenza 2035 e alla fine dei motori endotermici. “L’elettrificazione e i combustibili CO2 neutrali dovrebbero essere visti come soluzioni complementari, non alternative”, si legge. “Riammettete questa possibilità”.

Fonte: La Repubblica

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